Il copione si ripete. Un altro incidente nucleare nel mare di Barents. Un’esplosione che genera il panico, facendo innalzare il livello di radioattività, rievocando subito il disastro di Chernobyl del 1986. E ancora: l’incendio a bordo di un sottomarino russo che causa la morte di 14 marinai, soffocati dal fumo, mentre altre cinque persone rimangono gravemente ferite.
Sono solo alcuni degli episodi noti, che durante l’estate appena trascorsa hanno tenuto i riflettori accesi sulla Marina Militare russa. Una serie di eventi avvolti dal segreto militare, che ne copre le modalità e le cause reali. Quelle che potrebbero essere legate all’impiego di nuove potentissimi armi nucleari. Tanto da indurre Mosca a depistare i fatti con un blindatissimo “TOP SECRET”, avviando però contemporaneamente una serie di indagini interne, che hanno prodotto immediatamente grandi sospetti da parte dei governi di tutto il mondo…
Ma cosa sta succedendo veramente nei mari russi? Si tratta solo dello “sviluppo” di sottomarini e nuovi missili nucleari, oppure è in atto una vera guerra sommersa che starebbe toccando anche forze armate di altri paesi, sconfinando negli oceani mondiali? E che ruolo avrebbero i militari cinesi in queste storie? Lo abbiamo chiesto ad un esperto, Giacomo Coletti, autore del romanzo Il caso Kursk il canto delle sirene, racconto basato su documenti e incontri con i diretti protagonisti della vicenda del sottomarino K-141 Kursk, in cui 19 anni fa persero la vita 107 marinai. Ma riavvolgiamo un attimo il nastro…
Lanci di siluri e missili di nuova generazione. Una grande manovra militare nel mare di Barents è in atto. Il più imponente e il più temibile sottomarino nucleare russo, il K–141 Kursk, è impegnato in un’esercitazione per dimostrare al mondo intero la potenza dello Shkval. La nuova arma a propulsione della flotta russa è in grado di raggiungere velocità elevatissime e di ridurre in poltiglia il nemico. Ma improvvisamente tutto cambia. È il 12 agosto del 2000, quando proprio una perdita del propellente di un siluro, un materiale altamente instabile, innesca la prima scintilla. Poi, due esplosioni fortissime. In pochi minuti il Kursk si inabissa in fondo alle gelide acque del mare.
Il destino dell’intero equipaggio è purtroppo già scritto. In un primo momento sopravvivranno 23 marinai, ma con il passare delle ore, la speranza di portarli in salvo si ridurrà al lumicino… La tragicità di questi attimi riemerge dopo l’incidente, quando accanto ai corpi dei marinai, vengono ritrovati alcuni appunti in cui si legge:
“Ore 15:45. Qui è troppo buio per scrivere, ma ci proverò a tentoni. A quanto pare non ci sono possibilità di salvarsi. Forse solo dal 10 al 20 per cento. Speriamo che almeno qualcuno leggerà queste parole”.
Due anni più tardi, nel 2002 si conclude l’inchiesta giudiziaria relativa al disastro: ad affondare il gioiello della flotta russa, con i suoi 107 marinai, è stato un siluro difettoso. Insomma, un tragico incidente.
Ma che cosa accadde davvero a bordo di quel sommergibile, andato a fondo insieme ai suoi segreti? Che cosa è successo davvero quel giorno?
Da La Pagina Mancante di questa vicenda emerge una nuova e sconcertante verità: dietro al caso del sottomarino Kursk, passato alla storia come la più grande tragedia della Marina Militare russa in tempo di pace, potrebbe esserci stata una trattativa economica. A cui parteciparono anche gli Alti Graduati della Marina cinese. A dirlo sono gli ultimi studi effettuati da Giacomo Coletti: “La presenza dei cinesi alla manovra che precedette l’incidente – spiega – è stata caldeggiata fin dall’inizio della faccenda. L’esercitazione era un pretesto per dimostrare la forza dello Shkval, un’arma avveniristica che faceva gola a tante superpotenze”. Gli Stati Uniti riuscirono ugualmente a mettere poi le mani sullo Shkval “tramite i canadesi”.
Gli studi per la realizzazione di questo potente siluro iniziarono a fine anni sessanta, ma solo a partire dagli anni novanta ne fu possibile la realizzazione: “Fino ad allora un siluro come lo Shkval – spiega l’autore – era pura fantasia. Oggi parlare di questa arma è come parlare del primo computer, mentre navighiamo su internet con dispositivi di ultima generazione”. In questo momento storico i russi hanno “tecnologie molto più avanzate” e i sottomarini come il Kursk “possono essere considerati superati”.
A distanza di 19 anni da quel catastrofico episodio, però, le forze armate russe sono ancora protagoniste di incidenti di questo tipo. “La Marina russa – commenta Coletti – è sempre quella: un po’ raffazzonata ultimamente, sebbene Putin abbia sempre investito molto su questo fronte. Nel prossimo romanzo infatti racconterò una storia più lunga e intricata, svincolata dal tema dei sottomarini, ma sempre legata allo spionaggio russo”.
Un tema caldo più che mai! Infatti, a inizio luglio un sottomarino nucleare, l’As 12 Losharik, costruito per affrontare missioni e ricerche scientifiche ad alta profondità, prende fuoco. Nell’incendio muoiono 14 marinai e altre cinque persone rimangono ferite. Le fiamme divampano dalle batterie del sommergibile, durante una prova nel mare di Barents. Solo il coraggio di alcuni marinai impedisce, però, che l’incidente abbia conseguenze peggiori.
“Questo episodio – commenta Coletti – ci ricorda il rischio che corriamo. Noi per gli effetti devastanti degli incidenti nucleari, ma anche i militari, insieme agli scienziati, impiegati in questi progetti ad alto rischio. E’ chiaro che possono sempre verificarsi problemi a bordo, ma vista la particolare natura dei vascelli, anche incidenti piccoli possono trasformarsi in devastanti tragedie. I mari purtroppo sono disseminati di sottomarini affondati di cui non sapremo mai nulla“. Nel caso dei sottomarini russi è dunque la loro tipologia ad attirare particolarmente l’attenzione: “l‘As 12 è uno dei mezzi più segreti di sempre – precisa l’autore – perché pare possa operare a profondità maggiori rispetto a tutti gli altri sottomarini. Interessante sarebbe capire anche per quali tipo di azioni specifiche sia stato concepito… per quali tipi di missioni…“.
Ad avvalorare le tesi di chi pensa che i militari russi stiano sviluppando armi di distruzione di massa, ecco un’altra esplosione “misteriosa” avvenuta nel corso di un presunto test nucleare. Ovvero quella lo scorso 8 agosto che ha seminato terrore in mezza Europa. Un incidente avvenuto proprio nelle acque davanti al poligono del Ministero della Difesa russo, nel Mar Bianco. A far scattare l’allerta, smascherando l’ennesima intenzione di far passare tutto sotto silenzio, sono stati però gli alti livelli di radioattività che in poche ore sono stati registrati a migliaia di chilometri di distanza, in centri abitati… “Quando ho sentito questa notizia – continua Coletti – ho subito pensato al disastro di Chernobyl! Penso che un po’ tutti l’abbiamo fatto… Perché il problema di questi incidenti sono i reattori… Guarda caso anche per il Kursk fu attivata la procedura di recupero immediato per non lasciare sul fondale i missili balistici e i reattori attivi del sottomarino…”.
Incidenti tragici ed eventi dalle dinamiche poco chiare, tenuti volontariamente nascosti, che però mettono potenzialmente a rischio milioni di persone. Tecnologie militari che per essere all’altezza delle grandi ambizioni delle super potenze vengono estremizzate, con test di sviluppo spesso fuori controllo. Come se la Guerra Fredda sia sempre lì, in agguato nelle fredde acque degli oceani del nord. “E’ un classico della Russia, come dell’America. Tutti i grandi stati vogliono mostrare i muscoli. Chi pensa che la guerra fredda sia finita – conclude Coletti – purtroppo è un illuso! Ha solo cambiato forma, raggio d’azione e luoghi in cui nascondersi… Oggi le intelligence e i servizi segreti reclutano risorse prima di tutto in ambito economico e accademico”. Testimonianza di quanto lo sviluppo delle armi di distruzione di massa sia tornato ad essere una delle prime voci in bilancio dei grandi governi, che, non potendosi mostrare alla luce del sole, scelgono il mare – in profondità, a molte miglia al largo delle coste – per i loro test ad alto rischio. Lontano da occhi indiscreti.
In collaborazione con Michela Cattaneo Giussani
La redazione della Pagina Mancante
Alessandro Cracco
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Matteo Cappella
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